Il solfato di rame, disciolto nell’acqua sotto costa, provocava il doloroso impazzimento dei polpi che, venendo fuori dalle loro tane, cadevano facile preda di pescatori senza scrupoli. Quel liquido bluastro ed oleoso di un tempo di pratiche di pesca illegali, è ora la metafora del vischioso e corrosivo umore che attraversa una megalopoli corrotta, popolata d’una umanità varia e bislacca, soffocata dalla immoralità e sommersa dai rifiuti che ne divengono l’archetipo illustrativo del progressivo, irreversibile e disumanizzante degrado. Nelle sue viscere si muovono uno sciatto fotografo per caso, il cui vissuto quotidiano pare ridursi alla semplice e sistematica rimozione mnemonica di pezzi consistenti di ogni sua esperienza che, come per un fenomeno carsico, riemergono però in un mosaico di frammenti angoscianti, e la bellissima ed elegante direttrice di un giornale di cronaca rosa, portavoce d’una realtà cinica e rutilante. Due mondi contrapposti che solo a tratti abbandonano il proprio parallelismo per avvicinarsi in nuove e precarie traiettorie ed improbabili intrecci.